Cosa vuol dire essere volontario
E' difficile spiegare in poche parole cosa significa partecipare ad un'esperienza di volontariato in un paese del sud del mondo. Si tratta di un'esperienza che cambia la persona nella sua essenza, di un momento di confronto con se stessi prima ancora che con gli altri, di un'occasione di apprendimento e di crescita unica e speciale.
Un'esperienza breve, di un mese massimo, sarebbe a nostro avviso da rendere obbligatoria per tutti i giovani, interessati o meno al tema, tanto è l'impatto in termini di comprensione della propria vita, delle opportunità che il nostro mondo ci offre e delle potenzialità enormi che abbiamo da esprimere.
Non per questo però si tratta di un'esperienza adatta a tutti, soprattutto se pensiamo a soggiorni di lungo periodo come quelle che offriamo noi come Engim.
Non è facile adattarsi; non solo per le differenze logistiche, di abitudini culinarie e di lingua, che sono tutti gli aspetti a cui di solito si pensa quando ci si immagina in un contesto altro.
Una delle difficoltà maggiori è quella di capire cosa comunicare e in che modo, al di là della lingua, come interpretare i segnali che arrivano dagli interlocutori e come farsi capire, quali strategie adottare per non essere fraintesi e per andare oltre lo stereotipo e capirsi veramente.
L'unica risorsa in questo caso è proprio il tempo, che è anche la risorsa più preziosa che i volontari mettono a disposizione dei progetti: darsi tempo per capire e per conoscere, per entrare in contatto con le persone e, con alcune, costruire un contatto e un'empatia che è l'ingrediente segreto di questo tipo di esperienze.
L'ascolto non superficiale dell'interlocutore è fondamentale, e proprio per questo la conoscenza almeno di base della lingua è ritenuta importante, perchè in alcuni contesti la parola pesa di più dell'azione; cito un grande volontario che ha lasciato una testimonianza importante del suo percorso nel suo libro “”, in cui ha scritto: “Se non ti appropri della lingua di un popolo, non potrai sostenere di volerne rispettare la cultura”.
Un altro ingrediente con cui fare i conti durante questi progetti è la frustrazione, data da diverse cause tra cui sicuramente la difficoltà di comprendere a pieno le dinamiche locali, le differenze culturali, la tentazione di applicare i propri canoni di interpretazione, la sensazione di non essere valorizzati e di non riuscire ad essere utili, l'impressione di non poter incidere in nessun modo sulle problematiche della popolazione locale.
Questo è sicuramente un elemento fisiologico delle esperienze di questo tipo: gli antidoti a disposizione possono essere una buona dose di pazienza, un senso della prospettiva e della portata più ampia delle proprie azioni, una buona maturità ed equilibrio. Sembra facile? Per niente.
I nostri volontari, così come i nostri cooperanti, non sono però dei superman e delle wonderwoman, sono persone che mettono a disposizione un momento della loro vita, uscendo dalla routine della vita quotidiana per affrontare un periodo di vita in un contesto maggiormente deprivato dal punto di vista economico e logistico, adattandosi a condizioni di vita più spartane e aprendosi a culture ed abitudini radicalmente differenti dalle proprie.
Spesso sono persone che hanno studiato o sono interessati alla cooperazione internazionale , alla solidarietà tra popoli ed alla comunicazione interculturale che vogliono finalmente mettere in pratica quanto appreso durante gli studi e letto nei libri di testo.
Alcuni scoprono il loro futuro e si innamorano della sensazione che provano immersi in una cultura ed in un mondo diverso, altri scoprono degli aspetti della cooperazione che non condividono, altri ancora non reggono l'impatto emotivo della lontananza da casa e delle differenze.
Una cosa è certa: nessuno torna uguale, nessuno torna con meno domande di quando è partito e nessuno torna senza aver imparato nulla.